Come noto, la circolazione su strada, tra auto, camion, autobus è responsabile per oltre il 16% delle emissioni complessive di CO2.
Inoltre, sebbene si stimi che entro il 2030 saranno venduti circa 30 milioni di veicoli elettrici, il problema rimane, soprattutto se l’energia necessaria per ricaricare le batterie dovesse per larga parte provenire ancora dai combustibili fossili.
La discussione è aperta e quanto mai attuale per l’impatto che i gas serra hanno sull’innalzamento della temperatura e quindi sul cambiamento del clima.
Tra le ultime pubblicazioni sull’argomento, un contributo importante per comprendere con chiarezza la genesi della CO2 e il suo possibile contenimento, lo troviamo in “W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro?” scritto da Gianfranco Pacchioni, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienza dei materiali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, insignito di numerosi premi internazionali come l’Humboldt Award e la medaglia Pascal dell’European Academy of Sciences, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Il Prof. Pacchioni terrà una lezione nella prossima edizione del Master Automotive Management & New Mobility.
In questa intervista, anticipa ai nostri studenti i suoi studi sulla CO2 e sul suo possibile utilizzo in combinazione con l’idrogeno, una volta scisso dall’ossigeno nell’acqua.
Professore, nel suo libro, affronta il tema , divenuto centrale per chi lavora nell’automotive, della necessità di ridurre la CO2, fornendo una chiave di lettura differente e una possibile via d’uscita. Di che si tratta?
Innanzitutto il libro vuole ricordare il fatto che la CO2 è parte integrante del ciclo del carbonio, che è la nostra fonte di materia prima per produrre zuccheri e carboidrati grazie alla fotosintesi, e che senza CO2 non ci sarebbe vita sulla Terra. La riduzione della CO2 passa inizialmente da una limitazione della sua produzione sostituendo progressivamente la produzione di energia basata su combustibili fossili su altre fonti come le energie rinnovabili (eolico, solare, ecc.).
Se avremo sufficiente energia primaria ottenuta con le fonti rinnovabili potremo utilizzarla per produrre idrogeno mediante il processo di elettrolisi dell’acqua, che risulta nella formazione di ossigeno e idrogeno. L’idrogeno così prodotto, chiamato idrogeno verde, avrà molti utilizzi: direttamente come combustibile nelle celle a combustibile per autotrazione di veicoli pesanti, navi e aerei; oppure potrebbe anche essere usato per convertire la CO2 prodotta in eccesso in sostanze utili come metanolo o anche metano.
Se queste sostanze sono prodotte partendo da CO2 catturata da impianti in cui viene prodotta o direttamente dall’aria, faranno parte di un ciclo chiuso per cui vengono chiamati combustibili solari. Ovviamente, tutto parte dal presupposto che l’energia per far avvenire questi processi e per ottenere l’idrogeno sia di tipo rinnovabile senza emissioni di CO2.
Il processo di elettrificazione dei veicoli ci riporta al problema delle fonti di energia necessaria per ricaricare le batterie, oggi per l’80% proveniente da combustibili fossili. Come se ne esce?
Se ne esce solo con la sostituzione progressiva delle fonti primarie di energia basate sui combustibili fossili, che sono delle sostanze di straordinaria efficacia in termini di contenuto energetico, con altre fonti che non comportino emissione di CO2, come le rinnovabili. È chiaro che non è una cosa semplice e al momento non siamo nemmeno sicuri che saremo in grado di fare questa transizione. Non è nemmeno realistico che questa transizione avvenga in 10-20 anni, ci vorrà sicuramente molto tempo. Ma l’importante è che negli ultimi anni ci si è resi conto del problema in modo più deciso, e che si è cominciato a parlarne seriamente e a studiare dei possibili rimedi.
Si parla anche di una futura mobilità pulita alimentata con l’idrogeno. Qual è la sua opinione?
La premessa per una mobilità basata sull’idrogeno è che questo possa essere prodotto per via elettrolitica con fonti rinnovabili, e non come avviene oggi partendo da metano o altri combustibili fossili liberando CO2 alla fine del processo. Ma anche quando avessimo idrogeno verde in abbondanza, non credo che questo verrà usato come combustibile per mobilità salvo alcuni casi particolari come dicevo prima, camion, autobus, navi e aerei.
La ragione è che la distribuzione capillare dell’idrogeno richiede un investimento in infrastrutture davvero molto importante. Le pompe di benzina andrebbero sostituite con distributori di idrogeno il che richiede grandi investimenti. Inoltre anche lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno comportano alcuni problemi. Diverso è il caso di automezzi pesanti che potrebbero rifornirsi in speciali stazioni e funzionare con elevate autonomie. Stesso discorso per navi e aerei.
Insomma, sembra che con la CO2 dovremmo continuare a fare i conti ancora per parecchio tempo. Oltre al progresso tecnologico, in che misura noi stessi, con i nostri comportamenti, possiamo incidere per un ambiente più pulito?
Sicuramente di CO2 continueremo a produrne ancora a lungo, temo. Alcune stime dicono che ancora a fine secolo il 20% dell’energia totale prodotta al mondo verrà dai combustibili fossili (oggi siamo all’80%). Le tecnologie ci verranno in aiuto ma difficilmente da sole basteranno. Il problema non è solo la CO2. Le risorse del pianeta non sono infinite e ormai si è capito che uno sfruttamento incontrollato e selvaggio poi porta conseguenze dolorose. Quindi temo che dovremo un po’ cambiare i nostri stili di vita, cercando per quanto possibile di evitare sprechi e consumi inutili. Nessuna azione da sola sarà risolutiva. Tante azioni congiunte potrebbero invece essere di grande aiuto.
Dal suo Osservatorio privilegiato, quanta consapevolezza nota da parte delle ultime generazioni circa il rispetto dell’ambiente e in che modo studiare aiuta a sedimentare questi valori ?
La risposta non è semplice perché i comportamenti non sono uniformi. Da una parte ci sono i giovani impegnati sul fronte ambientale che abbiamo anche visto all’opera a COP26, che sono preparati, determinati e consapevoli. Hanno sicuramente un seguito tra molti giovani. Dall’altro però non si può non sottolineare come moltissimi altri giovani (temo la maggioranza) siano ben lontani da questa consapevolezza.
Essere cresciuti in un mondo dove tutto sembra scontato, accessibile e low-cost non aiuta. Ma questo non basta a spiegare atteggiamenti che sono quasi sprezzanti rispetto al problema climatico, da tenori e stili di vita molto dispendiosi in termini energetici a una sostanziale indifferenza per quello che verrà, come se il problema si potesse risolvere da solo. Per questo la formazione e la scuola hanno un ruolo fondamentale. Solo così possiamo sperare di raggiungere quella consapevolezza di massa che è necessaria per il cambiamento.
Scrivi un commento